Le due statue di leoni – perfetti simboli della concezione romanica – presidiano l’entrata del “Paradiso”, appellativo emblematicamente attribuito all’atrio del Duomo di Salerno, mirabile esempio di architettura medievale.
Lo spazio è definito da un portico con ventotto colonne classiche e quattro pilastri angolari che reggono archi tondi rialzati. Al di sopra corrispondono lunghi corridoi coperti mentre sul fronte della basilica è stato ricavato un loggiato in età barocca.
Diverse le interpretazioni circa le precise fasi della costruzione anche per la varietà delle decorazioni: il quadriportico conserva ben poco del suo aspetto medioevale in quanto l’ingresso corrisponde a più interventi in diversi periodi. Di certo la policromia delle pietre utilizzate – che caratterizza anche la decorazione dell’attiguo campanile – rimanda con certezza alla cultura del periodo normanno e risente, nella ricerca della fantasia e del colore, del recupero di una tradizione classica che si manifesta particolarmente nell’area tirrenica.
Una serie di sarcofagi arricchisce il quadriportico su tutti i lati; tra questi, si distingue un superbo sarcofago di epoca romana – in cui sarebbero state riposte le spoglie di Guglielmo d’Altavilla, nipote di Roberto il Guiscardo e terzo duca di Puglia – riutilizzato nel Medioevo ed abbellito dal "Mito di Meleagro", una scena di caccia al cinghiale. Chiaro il significato allegorico: il feroce cinghiale devasta la vigna del signore ma è vinto dall’audace guerriero; rappresenta un classico motivo dei sarcofagi romani dove si mescolavano i temi dell’eroismo, della giustizia e dell’amore.
Nella tradizione salernitana si tramanda una leggenda legata al suddetto sarcofago: il principe, particolarmente amato e compianto dai suoi sudditi, morì a soli trent’anni, il 7 agosto del 1127; la sua consorte, Gaidelcrima, figlia del conte di Airola, affranta dal dolore, come ultimo pegno d’amore recise i suoi lunghi capelli biondi e ne fece dono allo sposo normanno.
Nella memoria del popolo salernitano questo legame d’amore non ebbe mai fine: il 7 agosto, infatti, la leggenda vuole che al calar della sera, quando la cattedrale è deserta, Gaidelcrima appaia, sotto il porticato, profumata di rose. Come sospesa nell’aria, si avvicina al sarcofago di Guglielmo, ripete il gesto del taglio delle sue chiome e le adagia accanto al coperchio sepolcrale per poi scomparire sotto forma di farfalla.
Le due statue di leoni – perfetti simboli della concezione romanica – presidiano l’entrata del “Paradiso”, appellativo emblematicamente attribuito all’atrio del Duomo di Salerno, mirabile esempio di architettura medievale.
Lo spazio è definito da un portico con ventotto colonne classiche e quattro pilastri angolari che reggono archi tondi rialzati. Al di sopra corrispondono lunghi corridoi coperti mentre sul fronte della basilica è stato ricavato un loggiato in età barocca.
Diverse le interpretazioni circa le precise fasi della costruzione anche per la varietà delle decorazioni: il quadriportico conserva ben poco del suo aspetto medioevale in quanto l’ingresso corrisponde a più interventi in diversi periodi. Di certo la policromia delle pietre utilizzate – che caratterizza anche la decorazione dell’attiguo campanile – rimanda con certezza alla cultura del periodo normanno e risente, nella ricerca della fantasia e del colore, del recupero di una tradizione classica che si manifesta particolarmente nell’area tirrenica.
Una serie di sarcofagi arricchisce il quadriportico su tutti i lati; tra questi, si distingue un superbo sarcofago di epoca romana – in cui sarebbero state riposte le spoglie di Guglielmo d’Altavilla, nipote di Roberto il Guiscardo e terzo duca di Puglia – riutilizzato nel Medioevo ed abbellito dal "Mito di Meleagro", una scena di caccia al cinghiale. Chiaro il significato allegorico: il feroce cinghiale devasta la vigna del signore ma è vinto dall’audace guerriero; rappresenta un classico motivo dei sarcofagi romani dove si mescolavano i temi dell’eroismo, della giustizia e dell’amore.
Nella tradizione salernitana si tramanda una leggenda legata al suddetto sarcofago: il principe, particolarmente amato e compianto dai suoi sudditi, morì a soli trent’anni, il 7 agosto del 1127; la sua consorte, Gaidelcrima, figlia del conte di Airola, affranta dal dolore, come ultimo pegno d’amore recise i suoi lunghi capelli biondi e ne fece dono allo sposo normanno.
Nella memoria del popolo salernitano questo legame d’amore non ebbe mai fine: il 7 agosto, infatti, la leggenda vuole che al calar della sera, quando la cattedrale è deserta, Gaidelcrima appaia, sotto il porticato, profumata di rose. Come sospesa nell’aria, si avvicina al sarcofago di Guglielmo, ripete il gesto del taglio delle sue chiome e le adagia accanto al coperchio sepolcrale per poi scomparire sotto forma di farfalla.