Masuccio Salernitano, nel Novellino, sottolinea come, nel Quattrocento, Salerno fosse caratterizzata da una fervida attività mercantile. Capitale del Principato Citeriore e sede arcivescovile, la città vantava una fama diffusa in tutto l’Occidente e finanche nel mondo islamico grazie alla Scuola medica ed alla mediazione che essa operava tra la cultura occidentale e quella araba.
È soprattutto in tale periodo e con l’avvento della dinastia aragonese nel Mezzogiorno che la fiera di Salerno assume sempre maggiore importanza.
Nata nel 1259, quando il re Manfredi concesse alla città una fiera franca, della durata di una settimana, da celebrarsi nel mese di settembre, in concomitanza delle festività del Santo Patrono. In un momento successivo, di cui si ignora l’anno preciso, venne accordato anche un secondo appuntamento fieristico – precisamente dal 4 al 13 maggio – sicuramente di minore importanza visto che i documenti e le memorie manoscritte si riferiscono prevalentemente a quella più famosa di settembre.
L’apertura iniziava con l‘esposizione della bandiera della città e doveva costituire un momento frenetico nella vita cittadina, in cui si mischiavano i preparativi commerciali degli artigiani e dei mercanti cittadini e stranieri con il clima di festa degli abitanti.
Un ruolo di rilevo era riservato al cosiddetto “mastro di fiera” insieme all’arcivescovo ed alle autorità cittadine; nel corso del Seicento, ad esempio, si consolidò l’uso da parte del “mastro” di prendere possesso dell’investitura formale nel duomo davanti alle famiglie nobili e all’alto clero nel corso di una celebrazione organizzata con grande sfarzo ed in maniera sontuosa. Oltre agli operatori e agli acquirenti circolavano gli alabardieri che il mastro di fiera assoldava per garantire il pacifico svolgimento della stessa. Allo stesso tempo partecipavano girovaghi e saltimbanchi che inscenavano balli e giochi. Particolarmente coinvolgente risultava essere anche la cosiddetta “beneficiata” cioè una sorta di lotteria che permetteva la vincita con estrazione di opportune mercanzie (preziosi di modico valore o capi d’abbigliamento in seta).
La composizione merceologica nella fiera di Salerno va analizzata nei diversi periodi ed era strettamente collegata all’attività dei mercanti presenti in piazza. La massiccia presenza di Fiorentini e Catalani, ad esempio, nel XV secolo comportava una considerevole contrattazione di prodotti tessili, principalmente panni di lana e seta sia grezza che lavorata, oltre al vino e generi alimentari.
È soprattutto il commercio della seta che trova a Salerno un importante centro di smistamento: dagli studi si evince come giungessero in città anche sete e più in generale stoffe prodotte in altre regioni europee, a dimostrazione del livello internazionale raggiunto a Salerno sia per l’esportazione che per l’importazione.
Nel corso del Seicento, in concomitanza con la crescita dei capitali investiti nell’allevamento, si registrò un forte aumento della vendita di animali, prevalentemente equini, bovini e suini. Questo tipo di contrattazioni diventò poi prevalente su tutte le altre fino a tutto l’Ottocento tanto da identificare quasi la fiera in un mercato di bestiame.
Masuccio Salernitano, nel Novellino, sottolinea come, nel Quattrocento, Salerno fosse caratterizzata da una fervida attività mercantile. Capitale del Principato Citeriore e sede arcivescovile, la città vantava una fama diffusa in tutto l’Occidente e finanche nel mondo islamico grazie alla Scuola medica ed alla mediazione che essa operava tra la cultura occidentale e quella araba.
È soprattutto in tale periodo e con l’avvento della dinastia aragonese nel Mezzogiorno che la fiera di Salerno assume sempre maggiore importanza.
Nata nel 1259, quando il re Manfredi concesse alla città una fiera franca, della durata di una settimana, da celebrarsi nel mese di settembre, in concomitanza delle festività del Santo Patrono. In un momento successivo, di cui si ignora l’anno preciso, venne accordato anche un secondo appuntamento fieristico – precisamente dal 4 al 13 maggio – sicuramente di minore importanza visto che i documenti e le memorie manoscritte si riferiscono prevalentemente a quella più famosa di settembre.
L’apertura iniziava con l‘esposizione della bandiera della città e doveva costituire un momento frenetico nella vita cittadina, in cui si mischiavano i preparativi commerciali degli artigiani e dei mercanti cittadini e stranieri con il clima di festa degli abitanti.
Un ruolo di rilevo era riservato al cosiddetto “mastro di fiera” insieme all’arcivescovo ed alle autorità cittadine; nel corso del Seicento, ad esempio, si consolidò l’uso da parte del “mastro” di prendere possesso dell’investitura formale nel duomo davanti alle famiglie nobili e all’alto clero nel corso di una celebrazione organizzata con grande sfarzo ed in maniera sontuosa. Oltre agli operatori e agli acquirenti circolavano gli alabardieri che il mastro di fiera assoldava per garantire il pacifico svolgimento della stessa. Allo stesso tempo partecipavano girovaghi e saltimbanchi che inscenavano balli e giochi. Particolarmente coinvolgente risultava essere anche la cosiddetta “beneficiata” cioè una sorta di lotteria che permetteva la vincita con estrazione di opportune mercanzie (preziosi di modico valore o capi d’abbigliamento in seta).
La composizione merceologica nella fiera di Salerno va analizzata nei diversi periodi ed era strettamente collegata all’attività dei mercanti presenti in piazza. La massiccia presenza di Fiorentini e Catalani, ad esempio, nel XV secolo comportava una considerevole contrattazione di prodotti tessili, principalmente panni di lana e seta sia grezza che lavorata, oltre al vino e generi alimentari.
È soprattutto il commercio della seta che trova a Salerno un importante centro di smistamento: dagli studi si evince come giungessero in città anche sete e più in generale stoffe prodotte in altre regioni europee, a dimostrazione del livello internazionale raggiunto a Salerno sia per l’esportazione che per l’importazione.
Nel corso del Seicento, in concomitanza con la crescita dei capitali investiti nell’allevamento, si registrò un forte aumento della vendita di animali, prevalentemente equini, bovini e suini. Questo tipo di contrattazioni diventò poi prevalente su tutte le altre fino a tutto l’Ottocento tanto da identificare quasi la fiera in un mercato di bestiame.