Nel 1953, quando fu aperto il sepolcro dei SS. Martiri salernitani nella cripta del Duomo di Salerno, fu una sorpresa trovarvi, accanto alle reliquie di S. Fortunato, S. Gaio e S. Ante, anche quelle di un altro santo, tanto venerato in passato: S. Felice martire.
Quella di questo santo salernitano, spesso confuso con l’omonimo martire romano, è una leggenda semplice ma molto viva del fervore religioso dei primi cristiani per i quali il sacrificio incondizionato del martirio era il più supremo esempio di testimonianza della fede.
Al tempo delle spietate persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, il presbitero Felice fu condotto presso il tempio di Serapide affinché onorasse, alla presenza del prefetto Dracco, gli dei pagani.
Il prefetto gli intimò di offrire un sacrificio al dio e S. Felice di tutta risposta soffiò sulla statua, che raffigurava Serapide, riducendola in polvere. Simile sorte toccò ai simulacri di Mercurio e Diana presso i quali era stato successivamente condotto per rendere omaggio agli dei.
Dracco non esitò a sottoporlo a tortura, affinché confessasse con quali arti magiche potesse realizzare questi prodigi. Non ricevendo alcuna risposta fu condotto al di là delle mura per essere decollato. Si narra che in quel luogo, prima di morire, avesse sradicato, con un soffio, un albero venerato presso il tempio, ed avesse, con le stesse modalità, distrutto il tempio medesimo.
Il suo corpo, abbandonato alle bestie randagie, non venne da queste toccato e, ben presto, i fedeli sul luogo del martirio edificarono un tempietto. Il vescovo Bernaldo – nel 854 – vi fece costruire una chiesa e, vari secoli dopo, Roberto il Guiscardo fece collocare solennemente i resti nel Duomo da lui fatto costruire.
La località dove il santo fu ucciso si chiama oggi "Felline" ed accoglie l’omonima chiesa di San Felice.
Nel Breviarium del XII sec., opera dell’arcivescovo salernitano Romualdo II Guarna, più volte il santo viene citato; è singolare che S. Felice sia stato, in Salerno, dimenticato dalla liturgia e dal culto dopo il XVI sec., forse in concomitanza con la diffusione del culto di S. Felice romano col quale fu a lungo confuso.
Nel 1953, quando fu aperto il sepolcro dei SS. Martiri salernitani nella cripta del Duomo di Salerno, fu una sorpresa trovarvi, accanto alle reliquie di S. Fortunato, S. Gaio e S. Ante, anche quelle di un altro santo, tanto venerato in passato: S. Felice martire.
Quella di questo santo salernitano, spesso confuso con l’omonimo martire romano, è una leggenda semplice ma molto viva del fervore religioso dei primi cristiani per i quali il sacrificio incondizionato del martirio era il più supremo esempio di testimonianza della fede.
Al tempo delle spietate persecuzioni di Diocleziano e Massimiano, il presbitero Felice fu condotto presso il tempio di Serapide affinché onorasse, alla presenza del prefetto Dracco, gli dei pagani.
Il prefetto gli intimò di offrire un sacrificio al dio e S. Felice di tutta risposta soffiò sulla statua, che raffigurava Serapide, riducendola in polvere. Simile sorte toccò ai simulacri di Mercurio e Diana presso i quali era stato successivamente condotto per rendere omaggio agli dei.
Dracco non esitò a sottoporlo a tortura, affinché confessasse con quali arti magiche potesse realizzare questi prodigi. Non ricevendo alcuna risposta fu condotto al di là delle mura per essere decollato. Si narra che in quel luogo, prima di morire, avesse sradicato, con un soffio, un albero venerato presso il tempio, ed avesse, con le stesse modalità, distrutto il tempio medesimo.
Il suo corpo, abbandonato alle bestie randagie, non venne da queste toccato e, ben presto, i fedeli sul luogo del martirio edificarono un tempietto. Il vescovo Bernaldo – nel 854 – vi fece costruire una chiesa e, vari secoli dopo, Roberto il Guiscardo fece collocare solennemente i resti nel Duomo da lui fatto costruire.
La località dove il santo fu ucciso si chiama oggi "Felline" ed accoglie l’omonima chiesa di San Felice.
Nel Breviarium del XII sec., opera dell’arcivescovo salernitano Romualdo II Guarna, più volte il santo viene citato; è singolare che S. Felice sia stato, in Salerno, dimenticato dalla liturgia e dal culto dopo il XVI sec., forse in concomitanza con la diffusione del culto di S. Felice romano col quale fu a lungo confuso.