Il porto ha sempre avuto un ruolo primario per la difesa della capitale, per cui è stato oggetto di particolari cure da parte delle dominazioni succedutesi. In vari periodi si è avuto un enorme esborso di capitali che però non ha mai permesso di risolvere il secolare problema dell’interrimento, causato dai depositi di detriti fluviali.
In epoca longobarda si sono avute delle strutture portuali ed un arsenale non più utilizzati dopo il 1161 perché diviene molto attivo il vicino approdo naturale di Fuenti.
È soltanto nel 1260, in epoca sveva, che re Manfredi pose le prime pietre per la costruzione del porto di Salerno su richiesta di Giovanni Da Procida – medico e Gran Cancelliere – come si rileva da una lapide conservata in Duomo. Manfredi fa costruire un porto ex novo in modo da permettere alle navi un attracco più agevole ed incrementare i commerci, grazie alle franchigie doganali concesse per il periodo in cui si svolgeva la fiera di settembre, istituita da lui l’anno precedente. Ma nel 1278, in epoca angioina, il sito scelto dal re per costruire il molo è già ricoperto dalle pietre. Citato nel 1345, risulta però insabbiato al punto che il traffico maggiore si sposta di nuovo nel porto di Fuenti.
Nel 1462, in epoca aragonese, si permette di riedificare il porto, riportandolo al suo antico stato e con un discreto traffico di transazioni commerciali anche con Alessandria d’Egitto. Ma lo spazio risulta comunque ridotto ed i mercanti catalani preferiscono quelli di Napoli e Gaeta – rispettivamente 137 e 52 approdi sui 9 di Salerno tra la metà e la fine del Quattrocento –.
Nella prima rappresentazione iconografica conosciuta, la città è vista dal mare, nell’ottobre del 1495, mentre l’esercito aragonese la abbandona e quello francese si accinge ad occuparla. Già in questa prima rappresentazione l’elemento marittimo appare strettamente legato a quello della fortezza in una configurazione triangolare che caratterizzerà le successive raffigurazioni fino a tutto il Settecento.
La crisi economica protrattasi per tutto il Seicento nel Regno si ripercuote anche sulle vicende portuali: il porto, infatti, è ormai in rovina, usato solo come attracco di emergenza tanto che l’approdo è riservato prevalentemente a piccoli velieri.
Bisognerà attendere il 1752 quando, sotto Carlo III di Borbone, iniziarono i nuovi lavori in quanto il porto, interratosi con il trascorrere dei secoli, si era ridotto ad una misera scogliera. Per l’ampliamento del porto l’ingegnere militare Giovanni Bonpiede previde la costruzione di più moli isolati; è molto probabile che la decisione governativa di costruire il porto si colleghi al tentativo di un incremento del commercio anche nel corso dell’anno e non limitato al tempo della fiera.
Solo nel 1861 sarà costruito un embrionale antemurale al quale, in seguito, sarà aggiunto un braccio che lo collegherà alla terraferma e sarà innalzata una diga esterna che farà assumere al vecchio porto quell’aspetto sinuoso e singolare che ancora oggi conserva.
Il porto ha sempre avuto un ruolo primario per la difesa della capitale, per cui è stato oggetto di particolari cure da parte delle dominazioni succedutesi. In vari periodi si è avuto un enorme esborso di capitali che però non ha mai permesso di risolvere il secolare problema dell’interrimento, causato dai depositi di detriti fluviali.
In epoca longobarda si sono avute delle strutture portuali ed un arsenale non più utilizzati dopo il 1161 perché diviene molto attivo il vicino approdo naturale di Fuenti.
È soltanto nel 1260, in epoca sveva, che re Manfredi pose le prime pietre per la costruzione del porto di Salerno su richiesta di Giovanni Da Procida – medico e Gran Cancelliere – come si rileva da una lapide conservata in Duomo. Manfredi fa costruire un porto ex novo in modo da permettere alle navi un attracco più agevole ed incrementare i commerci, grazie alle franchigie doganali concesse per il periodo in cui si svolgeva la fiera di settembre, istituita da lui l’anno precedente. Ma nel 1278, in epoca angioina, il sito scelto dal re per costruire il molo è già ricoperto dalle pietre. Citato nel 1345, risulta però insabbiato al punto che il traffico maggiore si sposta di nuovo nel porto di Fuenti.
Nel 1462, in epoca aragonese, si permette di riedificare il porto, riportandolo al suo antico stato e con un discreto traffico di transazioni commerciali anche con Alessandria d’Egitto. Ma lo spazio risulta comunque ridotto ed i mercanti catalani preferiscono quelli di Napoli e Gaeta – rispettivamente 137 e 52 approdi sui 9 di Salerno tra la metà e la fine del Quattrocento –.
Nella prima rappresentazione iconografica conosciuta, la città è vista dal mare, nell’ottobre del 1495, mentre l’esercito aragonese la abbandona e quello francese si accinge ad occuparla. Già in questa prima rappresentazione l’elemento marittimo appare strettamente legato a quello della fortezza in una configurazione triangolare che caratterizzerà le successive raffigurazioni fino a tutto il Settecento.
La crisi economica protrattasi per tutto il Seicento nel Regno si ripercuote anche sulle vicende portuali: il porto, infatti, è ormai in rovina, usato solo come attracco di emergenza tanto che l’approdo è riservato prevalentemente a piccoli velieri.
Bisognerà attendere il 1752 quando, sotto Carlo III di Borbone, iniziarono i nuovi lavori in quanto il porto, interratosi con il trascorrere dei secoli, si era ridotto ad una misera scogliera. Per l’ampliamento del porto l’ingegnere militare Giovanni Bonpiede previde la costruzione di più moli isolati; è molto probabile che la decisione governativa di costruire il porto si colleghi al tentativo di un incremento del commercio anche nel corso dell’anno e non limitato al tempo della fiera.
Solo nel 1861 sarà costruito un embrionale antemurale al quale, in seguito, sarà aggiunto un braccio che lo collegherà alla terraferma e sarà innalzata una diga esterna che farà assumere al vecchio porto quell’aspetto sinuoso e singolare che ancora oggi conserva.