Nelle fonti longobarde e normanne, il famoso rione delle Fornelle, nel centro storico di Salerno, era denominato Vicus S. Trophimenae – Vicolo di S. Trofimena –; in seguito, nelle fonti sveve, venne indicato come Locus Amalphitanorum fino ad arrivare al XV sec. dove è attestato come “Vicolo delle Fornelle”.
Sembra che questo nome fosse dovuto proprio agli Amalfitani che, insediatisi al tempo dei Longobardi, si servivano di piccoli forni per la produzione di terrecotte, di cui erano grandi esportatori.
L’origine del rione è legata al culto di Santa Trofimena, vergine e martire del VI sec., le cui spoglie, richieste dagli amalfitani al principe Radelchi di Benevento, sostarono per una sola notte a Salerno. La devozione alla santa, alla quale fu dedicata una chiesa ancora visibile in piazza Matteo d’Aiello proprio nel luogo dove erano custodite le reliquie, era tanta, come attesta ad esempio la leggenda della giovane minorese Teodonanda, vissuta al tempo del prefetto di Amalfi, Pulcari.
Questa, ridotta in fin di vita da una malattia sconosciuta, si rivolse al più grande medico della Scuola Salernitana del tempo, Gerolamo. Dopo un’accurata analisi, emise un verdetto estremamente spietato e che affidava alla misericordia di Dio la vita della giovane. Teodonanda, però, non perse la speranza e, tornata a Minori, rimase per tre giorni e tre notti presso l’urna della Santa Trofimena, ottenendone la guarigione.
Tale leggenda è importante anche perché offre un dato cronologico prezioso per la storia della Scuola Medica Salernitana (874-873): ciò conferma l’antichità della scuola e la sua anteriorità rispetto ad ogni altra università d’Europa e del mondo.
Santa Trofimena era, tra l’altro, anche la protettrice delle lavandaie: tale appellativo nasceva anch’esso da una leggenda secondo la quale l’urna di marmo contenete le sante spoglie fu trovata da una lavandaia minorese presso un fiume. Questa, ignorando quale corpo sacro vi fosse ospitato, vi sbatté il bucato; dopo questo atto dissacratorio, purtroppo le braccia della donna rimasero rinsecchite.
Le lavandaie delle Fornelle erano note nell’intera provincia per l’accortezza con cui svolgevano il proprio mestiere, e i cui segreti tramandavano di madre in figlia. Si diceva che per le “fornellesse” fare un buon bucato equivaleva anche a trovare un buon marito.
Vi era anche un’altra accezione del termine “fornellesse” meno positiva rispetto alla precedente: delle donne che abitavano il rione delle Fornelle si parlava, con un certo sgomento, per la loro nota bellicosità.
Oggi, tra i vicoli e sulle facciate dei palazzi campeggiano murales e versi, molti dei quali del poeta salernitano Alfonso Gatto, che proprio nel rione delle Fornelle è nato e cresciuto.
Nelle fonti longobarde e normanne, il famoso rione delle Fornelle, nel centro storico di Salerno, era denominato Vicus S. Trophimenae – Vicolo di S. Trofimena –; in seguito, nelle fonti sveve, venne indicato come Locus Amalphitanorum fino ad arrivare al XV sec. dove è attestato come “Vicolo delle Fornelle”.
Sembra che questo nome fosse dovuto proprio agli Amalfitani che, insediatisi al tempo dei Longobardi, si servivano di piccoli forni per la produzione di terrecotte, di cui erano grandi esportatori.
L’origine del rione è legata al culto di Santa Trofimena, vergine e martire del VI sec., le cui spoglie, richieste dagli amalfitani al principe Radelchi di Benevento, sostarono per una sola notte a Salerno. La devozione alla santa, alla quale fu dedicata una chiesa ancora visibile in piazza Matteo d’Aiello proprio nel luogo dove erano custodite le reliquie, era tanta, come attesta ad esempio la leggenda della giovane minorese Teodonanda, vissuta al tempo del prefetto di Amalfi, Pulcari.
Questa, ridotta in fin di vita da una malattia sconosciuta, si rivolse al più grande medico della Scuola Salernitana del tempo, Gerolamo. Dopo un’accurata analisi, emise un verdetto estremamente spietato e che affidava alla misericordia di Dio la vita della giovane. Teodonanda, però, non perse la speranza e, tornata a Minori, rimase per tre giorni e tre notti presso l’urna della Santa Trofimena, ottenendone la guarigione.
Tale leggenda è importante anche perché offre un dato cronologico prezioso per la storia della Scuola Medica Salernitana (874-873): ciò conferma l’antichità della scuola e la sua anteriorità rispetto ad ogni altra università d’Europa e del mondo.
Santa Trofimena era, tra l’altro, anche la protettrice delle lavandaie: tale appellativo nasceva anch’esso da una leggenda secondo la quale l’urna di marmo contenete le sante spoglie fu trovata da una lavandaia minorese presso un fiume. Questa, ignorando quale corpo sacro vi fosse ospitato, vi sbatté il bucato; dopo questo atto dissacratorio, purtroppo le braccia della donna rimasero rinsecchite.
Le lavandaie delle Fornelle erano note nell’intera provincia per l’accortezza con cui svolgevano il proprio mestiere, e i cui segreti tramandavano di madre in figlia. Si diceva che per le “fornellesse” fare un buon bucato equivaleva anche a trovare un buon marito.
Vi era anche un’altra accezione del termine “fornellesse” meno positiva rispetto alla precedente: delle donne che abitavano il rione delle Fornelle si parlava, con un certo sgomento, per la loro nota bellicosità.
Oggi, tra i vicoli e sulle facciate dei palazzi campeggiano murales e versi, molti dei quali del poeta salernitano Alfonso Gatto, che proprio nel rione delle Fornelle è nato e cresciuto.