Fin dalla fondazione della città quale colonia marittima – nel II secolo a.C. – il castello costituiva parte di un’antica roccaforte romana localizzata ai piedi della collina Bonadies e che fu successivamente restaurata ed ingrandita dal principe longobardo Arechi II, da cui prende l’attuale denominazione.
Stando ai ritrovamenti archeologici, la grande torre – identificata nei documenti medievali come turris maior – fu fatta erigere ai tempi della guerra greco-gotica a protezione del golfo di Salerno e del porto sottostante.
Il primo nucleo della fortificazione fu innalzato su grandi blocchi di tufo; le fasi architettoniche successive si distinsero poi dal primo impianto per l’utilizzo non più di materiale tufaceo ma della pietra calcarea scavata sul posto. La configurazione della torre a base quadrangolare riproponeva sostanzialmente il sistema di controllo portuale messo in atto dai Bizantini in tutta l’Italia peninsulare.
Per Salerno la fortificazione della collina Bonadies assolveva, oltre alla difesa del porto, anche alla funzione di controllo dei percorsi che conducevano per vie e colline retrostanti a Nuceria Alfaterna, una delle più grandi città della Campania antica, nodo ancora vitale per l’economia della fertile pianura vesuviana.
Con l’irruzione dei Longobardi, che determinò la fine del dominio bizantino, il castrum subisce un intervento ricostruttivo grazie all’opera di Arechi II: è al principe longobardo che si attribuisce la denominazione del castello ufficialmente nel 1896, quando esso venne dichiarato monumento nazionale.
Per le tinte fosche ed il fascino della sua mole, il castello ha ispirato scrittori e poeti al punto da diventare luogo in cui costruire le loro opere: è il caso di Ugo Foscolo che, di passaggio a Salerno, fu affascinato dallo stesso tanto da ambientarvi una tragedia, la Ricciarda.
Il Boccaccio strutturò una novella del Decamerone all’interno della fortificazione: una storia di amore e morte con protagonista Ghismunda – figlia di Tancredi – ed il suo amante – il valletto Guiscardo – di umili origini: un amore vissuto di nascosto per la differenza di classe con appuntamenti segreti che avvenivano in una caverna – cui si accedeva dal castello – e conclusosi tragicamente con l’omicidio di Guiscardo, ad opera di Tancredi, ed il suicidio di Ghismunda.
Anche storie leggendarie accompagnano il vecchio maniero che, secondo la tradizione, fu teatro di un terribile fatto di sangue accaduto verso il XV secolo: il governatore del castello, scoperto il tradimento della giovane moglie con un ufficiale, uccise entrambi e murò viva la giovane sposa. Si racconta della scoperta tanti anni fa, in un incavo del muro delle cantine, di uno scheletro accovacciato sul pavimento con brandelli di veste femminile; la leggenda vuole che i fantasmi degli infelici amanti vaghino ancora nei meandri del castello tenendosi per mano.
Fin dalla fondazione della città quale colonia marittima – nel II secolo a.C. – il castello costituiva parte di un’antica roccaforte romana localizzata ai piedi della collina Bonadies e che fu successivamente restaurata ed ingrandita dal principe longobardo Arechi II, da cui prende l’attuale denominazione.
Stando ai ritrovamenti archeologici, la grande torre – identificata nei documenti medievali come turris maior – fu fatta erigere ai tempi della guerra greco-gotica a protezione del golfo di Salerno e del porto sottostante.
Il primo nucleo della fortificazione fu innalzato su grandi blocchi di tufo; le fasi architettoniche successive si distinsero poi dal primo impianto per l’utilizzo non più di materiale tufaceo ma della pietra calcarea scavata sul posto. La configurazione della torre a base quadrangolare riproponeva sostanzialmente il sistema di controllo portuale messo in atto dai Bizantini in tutta l’Italia peninsulare.
Per Salerno la fortificazione della collina Bonadies assolveva, oltre alla difesa del porto, anche alla funzione di controllo dei percorsi che conducevano per vie e colline retrostanti a Nuceria Alfaterna, una delle più grandi città della Campania antica, nodo ancora vitale per l’economia della fertile pianura vesuviana.
Con l’irruzione dei Longobardi, che determinò la fine del dominio bizantino, il castrum subisce un intervento ricostruttivo grazie all’opera di Arechi II: è al principe longobardo che si attribuisce la denominazione del castello ufficialmente nel 1896, quando esso venne dichiarato monumento nazionale.
Per le tinte fosche ed il fascino della sua mole, il castello ha ispirato scrittori e poeti al punto da diventare luogo in cui costruire le loro opere: è il caso di Ugo Foscolo che, di passaggio a Salerno, fu affascinato dallo stesso tanto da ambientarvi una tragedia, la Ricciarda.
Il Boccaccio strutturò una novella del Decamerone all’interno della fortificazione: una storia di amore e morte con protagonista Ghismunda – figlia di Tancredi – ed il suo amante – il valletto Guiscardo – di umili origini: un amore vissuto di nascosto per la differenza di classe con appuntamenti segreti che avvenivano in una caverna – cui si accedeva dal castello – e conclusosi tragicamente con l’omicidio di Guiscardo, ad opera di Tancredi, ed il suicidio di Ghismunda.
Anche storie leggendarie accompagnano il vecchio maniero che, secondo la tradizione, fu teatro di un terribile fatto di sangue accaduto verso il XV secolo: il governatore del castello, scoperto il tradimento della giovane moglie con un ufficiale, uccise entrambi e murò viva la giovane sposa. Si racconta della scoperta tanti anni fa, in un incavo del muro delle cantine, di uno scheletro accovacciato sul pavimento con brandelli di veste femminile; la leggenda vuole che i fantasmi degli infelici amanti vaghino ancora nei meandri del castello tenendosi per mano.