Salerno ha avuto una grande tradizione nel campo della ceramica con manufatti artistici di grande pregio; dai documenti aragonesi sappiamo che alla fine del Duecento il re Carlo II D’Angiò chiese alla magistratura cittadina un maestro decoratore di piastrelle.
Occorre tener presente che la città era il centro commerciale più importante della zona; non a caso veniva definita già in epoca longobarda "Opulentissima Urbs". In essa vi erano concentrati il maggior numero di botteghe alle quali ricorrevano un po' tutti gli artigiani sia locali che delle zone limitrofe. Anche i cosiddetti “faenzari” cioè coloro che macinavano le faenze, ossia le sostanze per la preparazione dello smalto e dei colori, andavano in quei negozi a rifornirsi di materie prime come stagno, piombo ed argilla, indispensabili per la loro attività.
È universalmente riconosciuto che le cosiddette arti minori – tra cui quella ceramica – siano state sempre influenzate dalle consorelle maggiori come la pittura e l’architettura: stipi e cassettoni tra il ‘500 ed il ‘600 rappresentavano facciate di palazzi e le decorazioni marmoree venivano riprodotte nelle porte e nelle specchiere intagliate. Allo stesso modo i maestri faenzari a Salerno sbirciarono e si ispirarono ai grandi pittori le cui opere circolavano nella capitale: dai quadri di Belisario Corenzio a quelli di Jusepe de Ribera che arricchirono chiese e collezioni private salernitane. Venivano presi a modello i decori presenti nei quadri, così come avveniva per tutti i maiolicari del resto dell’Italia.
Per ciò che riguarda la decorazione alla fine del ‘400 e nel primo quarto del Cinquecento non si conoscono produzioni di vasi e piatti – probabilmente attribuiti dalla storiografia ad altri centri – mentre abbiamo testimonianze pavimentali con una preferenza per i decori in blu, dato comune a tutta l’area campana ed in modo particolare a quella cavese. La produzione seicentesca, invece, è caratterizzata da una decorazione più ampia con l’aggiunta cromatica del verde e del giallo; compaiono elementi vegetali di fiori e foglie a spirale. Tipico esempio è la pavimentazione della Chiesa barocca di San Giorgio a Salerno con il pavimento rivestito da piastrelle maiolicate decorate a foglie d’acanto.
Certamente anche l’illustre Scuola Medica Salernitana dovette incrementare la produzione di maioliche. I medicamenti venivano venduti e conservati in scatolini, vasetti e cofanetti con i relativi coperchi. In tal senso alla produzione salernitana si ascrivono due pezzi relativi a tale periodo storico e conservati presso il Museo Provinciale della Ceramica di Raito. Si tratta di un grande piatto, datato 1705, denominato “imperiale”, decorato con un insieme di vascelli componenti la flotta reale – modello particolarmente caro ai ceramisti del luogo – e un vaso da farmacia in blu con un veliero a vele spiegate, molto probabilmente facente parte di un corredo ceramico di qualche farmacia di Salerno.
Al già citato Museo Provinciale della Ceramica, collocato all’interno dello splendido complesso di Villa Guariglia a Raito, è da menzionare l’interessante Museo della Ceramica Alfonso Tafuri, nel cuore del centro storico di Salerno, che raccoglie gli oggetti in ceramica ritrovati negli ultimi anni a Salerno durante alcuni scavi per la ristrutturazione di fabbricati e che testimoniano la produzione di ceramiche salernitane e vietresi dal XVI secolo all'età contemporanea.
Salerno ha avuto una grande tradizione nel campo della ceramica con manufatti artistici di grande pregio; dai documenti aragonesi sappiamo che alla fine del Duecento il re Carlo II D’Angiò chiese alla magistratura cittadina un maestro decoratore di piastrelle.
Occorre tener presente che la città era il centro commerciale più importante della zona; non a caso veniva definita già in epoca longobarda "Opulentissima Urbs". In essa vi erano concentrati il maggior numero di botteghe alle quali ricorrevano un po' tutti gli artigiani sia locali che delle zone limitrofe. Anche i cosiddetti “faenzari” cioè coloro che macinavano le faenze, ossia le sostanze per la preparazione dello smalto e dei colori, andavano in quei negozi a rifornirsi di materie prime come stagno, piombo ed argilla, indispensabili per la loro attività.
È universalmente riconosciuto che le cosiddette arti minori – tra cui quella ceramica – siano state sempre influenzate dalle consorelle maggiori come la pittura e l’architettura: stipi e cassettoni tra il ‘500 ed il ‘600 rappresentavano facciate di palazzi e le decorazioni marmoree venivano riprodotte nelle porte e nelle specchiere intagliate. Allo stesso modo i maestri faenzari a Salerno sbirciarono e si ispirarono ai grandi pittori le cui opere circolavano nella capitale: dai quadri di Belisario Corenzio a quelli di Jusepe de Ribera che arricchirono chiese e collezioni private salernitane. Venivano presi a modello i decori presenti nei quadri, così come avveniva per tutti i maiolicari del resto dell’Italia.
Per ciò che riguarda la decorazione alla fine del ‘400 e nel primo quarto del Cinquecento non si conoscono produzioni di vasi e piatti – probabilmente attribuiti dalla storiografia ad altri centri – mentre abbiamo testimonianze pavimentali con una preferenza per i decori in blu, dato comune a tutta l’area campana ed in modo particolare a quella cavese. La produzione seicentesca, invece, è caratterizzata da una decorazione più ampia con l’aggiunta cromatica del verde e del giallo; compaiono elementi vegetali di fiori e foglie a spirale. Tipico esempio è la pavimentazione della Chiesa barocca di San Giorgio a Salerno con il pavimento rivestito da piastrelle maiolicate decorate a foglie d’acanto.
Certamente anche l’illustre Scuola Medica Salernitana dovette incrementare la produzione di maioliche. I medicamenti venivano venduti e conservati in scatolini, vasetti e cofanetti con i relativi coperchi. In tal senso alla produzione salernitana si ascrivono due pezzi relativi a tale periodo storico e conservati presso il Museo Provinciale della Ceramica di Raito. Si tratta di un grande piatto, datato 1705, denominato “imperiale”, decorato con un insieme di vascelli componenti la flotta reale – modello particolarmente caro ai ceramisti del luogo – e un vaso da farmacia in blu con un veliero a vele spiegate, molto probabilmente facente parte di un corredo ceramico di qualche farmacia di Salerno.
Al già citato Museo Provinciale della Ceramica, collocato all’interno dello splendido complesso di Villa Guariglia a Raito, è da menzionare l’interessante Museo della Ceramica Alfonso Tafuri, nel cuore del centro storico di Salerno, che raccoglie gli oggetti in ceramica ritrovati negli ultimi anni a Salerno durante alcuni scavi per la ristrutturazione di fabbricati e che testimoniano la produzione di ceramiche salernitane e vietresi dal XVI secolo all'età contemporanea.