Uno dei più importanti storici dell’XI secolo Romualdo II Guarna, nel suo “Chronicon”, ci illustra l’origine del culto in forma leggendaria legato ai tre martiri salernitani – Caio, Fortunato ed Ante – ai quali è dedicata, nella cripta del Duomo di Salerno, una cappella sull’altare della quale sono collocate le tre statue in bronzo dei Santi, dono della Scuola Medica Salernitana.
Si racconta che, fuori dalle mura cittadine – dove oggi è la stazione ferroviaria - sorgeva il tempio di Priapo, dio della fecondità e della rigogliosa fertilità della natura. Qui, tra le colonne del tempio, i cittadini si radunavano a pregare la divinità per l’abbondanza dei raccolti e per il benessere delle proprie greggi. Durante le persecuzioni a danno dei cristiani ordinate dall’imperatore Diocleziano (284-350 d.C.), i tre cittadini salernitani si rifiutarono di praticare il culto di Priapo e, per ordine del proconsole della provincia di Salerno, Leonzio, furono decapitati presso il fiume Irno.
I cadaveri, lasciati insepolti in balia delle bestie e degli uccelli rapaci furono da quest’ultimi risparmiati; invece di fare scempio dei loro corpi, vegliarono su di essi affinché i fedeli potessero rendere loro una degna sepoltura. Secondo la testimonianza del Guarna, la traslazione delle reliquie entro le mura cittadine fu opera del vescovo Bernardo II ed avvenne negli stessi anni del rinvenimento del corpo di San Matteo (954), ritenendo che essa avrebbe avuto luogo grazie alla riconoscenza del popolo salernitano nei confronti di Fortunato, Caio ed Ante, al cui intervento miracoloso si doveva la liberazione della città dall’invasione dei Saraceni. La testimonianza dell’arcivescovo è la più antica di una tradizione che affidava la protezione della città ai martiri salernitani prima che il corpo di San Matteo venisse portato a Salerno e che l’Evangelista ne diventasse patrono.
La devozione per i martiri rimase viva anche nei secoli successivi e nell’XI secolo fu l’arcivescovo Alfano (1058-1085) a decidere il trasferimento dei loro corpi nella cattedrale normanna, dedicandogli un altare nella cripta come attestato da una lapide dettata dallo stesso Alfano – datata 1081 – e che servì da copertura delle reliquie. Davanti all’altare è posizionata una mezza colonna di marmo, la stessa dove, secondo la tradizione popolare, i tre ferventi cristiani furono decollati; la leggenda vuole che appoggiando l’orecchio sul freddo tronco a torciglione si senta il rumore del sangue che sgorga ed un sibilo lamentoso.
Il culto dei tre martiri è tuttora celebrato a Salerno: durante i festeggiamenti in onore di S. Matteo, il 21 settembre, le loro statue vengono, infatti, portate in processione accanto a quella del patrono della città anche se, date le chiome fluenti, è toccato loro l’ingiusto appellativo di “’e ssore ‘e S. Matteo”.
Uno dei più importanti storici dell’XI secolo Romualdo II Guarna, nel suo “Chronicon”, ci illustra l’origine del culto in forma leggendaria legato ai tre martiri salernitani – Caio, Fortunato ed Ante – ai quali è dedicata, nella cripta del Duomo di Salerno, una cappella sull’altare della quale sono collocate le tre statue in bronzo dei Santi, dono della Scuola Medica Salernitana.
Si racconta che, fuori dalle mura cittadine – dove oggi è la stazione ferroviaria - sorgeva il tempio di Priapo, dio della fecondità e della rigogliosa fertilità della natura. Qui, tra le colonne del tempio, i cittadini si radunavano a pregare la divinità per l’abbondanza dei raccolti e per il benessere delle proprie greggi. Durante le persecuzioni a danno dei cristiani ordinate dall’imperatore Diocleziano (284-350 d.C.), i tre cittadini salernitani si rifiutarono di praticare il culto di Priapo e, per ordine del proconsole della provincia di Salerno, Leonzio, furono decapitati presso il fiume Irno.
I cadaveri, lasciati insepolti in balia delle bestie e degli uccelli rapaci furono da quest’ultimi risparmiati; invece di fare scempio dei loro corpi, vegliarono su di essi affinché i fedeli potessero rendere loro una degna sepoltura. Secondo la testimonianza del Guarna, la traslazione delle reliquie entro le mura cittadine fu opera del vescovo Bernardo II ed avvenne negli stessi anni del rinvenimento del corpo di San Matteo (954), ritenendo che essa avrebbe avuto luogo grazie alla riconoscenza del popolo salernitano nei confronti di Fortunato, Caio ed Ante, al cui intervento miracoloso si doveva la liberazione della città dall’invasione dei Saraceni. La testimonianza dell’arcivescovo è la più antica di una tradizione che affidava la protezione della città ai martiri salernitani prima che il corpo di San Matteo venisse portato a Salerno e che l’Evangelista ne diventasse patrono.
La devozione per i martiri rimase viva anche nei secoli successivi e nell’XI secolo fu l’arcivescovo Alfano (1058-1085) a decidere il trasferimento dei loro corpi nella cattedrale normanna, dedicandogli un altare nella cripta come attestato da una lapide dettata dallo stesso Alfano – datata 1081 – e che servì da copertura delle reliquie. Davanti all’altare è posizionata una mezza colonna di marmo, la stessa dove, secondo la tradizione popolare, i tre ferventi cristiani furono decollati; la leggenda vuole che appoggiando l’orecchio sul freddo tronco a torciglione si senta il rumore del sangue che sgorga ed un sibilo lamentoso.
Il culto dei tre martiri è tuttora celebrato a Salerno: durante i festeggiamenti in onore di S. Matteo, il 21 settembre, le loro statue vengono, infatti, portate in processione accanto a quella del patrono della città anche se, date le chiome fluenti, è toccato loro l’ingiusto appellativo di “’e ssore ‘e S. Matteo”.